testi critici

TESTO CRITICO di Andrea Diprè

Nelle inconfondibili opere dell'artista toscano Stefano Sardelli l'espansione del nucleo originario avviene secondo un moto quasi organico, per quanto arcano e misterioso. Ma in lui la nascita è anche lo snodarsi improvviso d'una spirale, l'efflorescenza che dà vita embrionale a una immagine su uno schermo diverso, il formularsi dell'immagine dall'informità della materia, il simbolo stesso della generazione. Ciò nonostante, nelle sue opere, trovo qualcosa di più e di diverso, qualcosa che definirei come una sorta di “sorgente magica”: quasi la matrice d'una forza superiore a quella naturale, perché misteriosa, ignota, sacrale, ancorata a credenze e superstizioni ancestrali, enigmatica e magica. In Stefano Sardelli l'elemento magico, dalla sorgente, prende corpo e figura, s'individualizza, e si pone in modo enigmatico e allarmante, ora accentuando la sua origine mitica, ora la sua capacità di provocazione emotiva, ora il suo defluire in più complesse e articolate strutturazioni. L'immagine stessa lascia trasparire nei suoi componenti altre immagini minori, che la costruiscono in una rifrazione molteplice. E l'immagine magica intende polarizzare l'esistenza di tutte quelle forze non di dominio razionale che quasi rappresentano le infrastrutture spesso arcanamente determinanti del regno del visibile.

Andrea Diprè


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Testo critico di Michela Eremita
Testo critico della personale CastellArte

Le ultime opere di Stefano Sardelli ci rivelano un dichiarato approccio giocoso con la vita mostrandoci cibo e colore. Un approccio recente quello con la natura morta di cui siamo tutti curiosi di vedere gli sviluppi futuri.
Il cibo e l’arte costituiscono un connubio storico che nei secoli si è rinnovato trovando sempre nuova linfa vitale nel contesto storico.
Certo è che la natura morta di Stefano sembra contraddire la definizione del genere artistico a cui appartiene perché ci raccontano in realtà di un’esplosiva gioia di vivere e di esserci. Il colore, protagonista indiscusso, secondo le soluzioni informali, si addensa o si scioglie sul supporto evocando delle forme che non vengono mai completamente dichiarate. Inoltre, c’è un altro elemento interessante dato dalla matericità a cui ci riconduce la stesura del colore. Il colore nelle sue opere recenti e passate, infatti, è talmente denso che si riempie di rotondità, di spessore e diventa materia. Importante, per la lettura delle opere, è anche il rapporto tra il colore/materia e lo spazio/fondo del quadro. Il colore non si espande ovunque, ma prende lo spazio che la sua forma richiede, senza invadere, con discrezione. Ma in realtà, nello stacco evidente dallo sfondo si avverte il dominio del colore su tutto, in conclusione l’importanza della pittura.
Una materia che si mostra tutta brillante e innaturale, quasi traslucida, artificiale. Questo non ci sorprende perché Stefano non vuole replicare la natura, non è certo il suo obiettivo, vuole in realtà trasportarla su un altro registro e lì rappresentarla. È interessante perché ci vuole parlare di natura morta e lo fa mostrandoci invece una natura artificiale, di plastica, forse sarebbe più giusto chiamarla così - e parrebbe una denuncia...
Il percorso di Stefano è ancora lungo, la sua giovane età lo porterà ad esplorare forse nuovi percorsi, ma ciò che tutti gli possiamo augurare è di non perdere mai quella gioia di essere e di manifestare le sue riflessioni o i suoi appunti artistici.

Michela Eremita
(Critico d’arte, polo museale Santa Maria della Scala - Siena)

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Testo critico di Barbara Angiolini

L’entusiasmo per i colori e per le sperimentazioni materiche di Stefano Sardelli sembra non conoscere limiti. Alla ricerca del dominio di uno spazio che possa racchiudere l’energia, gli stati emotivi e l’anima di un’immagine o di un’azione, il giovane artista toscano converge la sua urgenza poetica. Racchiudere e non rappresentare per mimesis è il messaggio che viene filtrato dalle sue accentuazioni materiche di carattere informale in cui l’assoluto predominio del colore si focalizza sugli ampi spazi bidimensionali, dove un denso magma si accampa per esibire il proprio splendore in audaci impasti e guadagnare spessore attraverso l’energia dirompente dell’azione gestuale. Un’esperienza pittorica, quella di Stefano Sardelli, che incoraggiata e sostenuta da un travolgente impulso interiore, rappresenta qualcosa di naturale, come un’insopprimibile affermazione di una volontà comunicativa e di un’esigenza espressiva che sempre più si appaga nella fisicità del contatto tra animo e pittura, tra emozione e messa in opera, attraverso il sempre più frequente utilizzo delle mani come mezzo pittorico, alla ricerca di una totale simbiosi con i suoi lavori.

Barbara Angiolini
(Critico d’arte-Galleria Mentana Firenze)